Di Vittorio contro le leggi razziali

Nella nostra epoca, la leadership è uno degli argomenti prevalenti e maggiormente teorizzati intorno alla politica. Giuseppe Di Vittorio, della cui morte ricorre oggi il sessantunesimo anniversario, ha dimostrato, in tutta la sua vicenda umana e politica che la leadership è fatta di tutt’altra materia da quella oggi comunemente intesa. Oggi la leadership è interpretata come la capacità di aderire allo zeitgeist, lo spirito del tempo, di rincorrere, in poche parole, gli umori diffusi, accentuarli e farne una linea politica. La leadership vera è altra cosa. È visione vasta e profonda, analisi, interpretazione e capacità di modificare le opinioni diffuse. Convincere il pubblico e indirizzare le opinioni con la forza dei giusti argomenti. Preoccupandosi non di stare nella direzione del vento ma in quella che si riconosce come giusta.
Pochi si scagliarono, nel 1938, contro le leggi razziali attuate dal regime fascista con la piena complicità della monarchia, di cui ricorre, quest’anno, l’ottantesimo anniversario. Probabilmente nessuno con la prontezza e la forza di Di Vittorio. Il 7 settembre del 1938, appena due giorni dopo l’introduzione delle leggi razziali, Di Vittorio pubblica su La voce degli italiani – giornale degli antifascisti italiani esuli in Francia del quale era direttore – un primo articolo intitolato “In aiuto degli ebrei italiani!”. Come ricordato dallo storico Alberto Cavaglion in un articolo pubblicato sul mensile Pagine Ebraiche nel 2010, “Quale atteggiamento assunsero le forze antifasciste, soprattutto in Francia? Anche fuori d’Italia gli ebrei furono lasciati soli. […] Nella stampa comunista, scorrendo le annate 1938-1940, il silenzio è ancora più imbarazzante. Le prime pagine s’occupano della guerra di Spagna, della strategia di Stalin e delle democrazie occidentali […] In mezzo a tanto silenzio spiccano tre nobili voci: Franco Venturi […], Emilio Lussu […] e Giuseppe Di Vittorio”.
Di Vittorio, dunque, scrive, senza riserve “Tutti i mezzi, potentissimi di pressione morale e materiale di cui si è munito il regime, sono stati messi in azione per creare un’atmosfera di pogrom. Nella disonorante campagna di odio contro gli ebrei – contro gli stessi ebrei italiani, che sono nati in Italia, che hanno compiuto il loro servizio militare in Italia, che sono degli onesti cittadini – non vi è ritegno, non vi sono limiti, né pudore. La vigliaccheria garantita dalla protezione senza riserve dello Stato, si ammanta della pelle del leone e si accanisce con estrema ferocia contro i deboli, contro coloro che sono stati spogliati d’ogni diritto e messi al bando come lebbrosi!…”. Ancora, “Coloro che arzigogolavano su pretese differenze fra i due massimi dittatori fascisti d’Europa, sforzandosi di scorgere in Mussolini il famosissimo ‘latin, sangue gentile’ – per cui il boia del nostro popolo sarebbe stato più misurato, più equilibrato, più sensibile, più umano, ecc. ecc., del suo collega germanico – sono ormai ben serviti. Mussolini, l’uomo di tutti i rinnegamenti e di tutti i tradimenti; Mussolini, che ancora nel 1934 ripudiava con veemenza il razzismo e rivendicava come un grande onore per il fascismo italiano l’essere immune da questa lue barbarica e di trattare i cittadini italiani ebrei alla stessa stregua di tutti gli altri cittadini, portandoli anche alle più alte cariche in tutte le branche dell’attività nazionale, secondo i loro meriti; Mussolini, diciamo, è sceso così in basso, sotto l’influenza, la pressione e gli ordini di Hitler, da superarlo, nella brutalità e nella ferocia.”
“Mussolini – prosegue Di Vittorio – si è distinto, sì, ma nel bruciare le tappe. In questa lotta selvaggia e codarda contro le poche migliaia di ebrei italiani – già perfettamente assimilati e fusi col nostro popolo – Mussolini ha fatto in poche settimane ciò che Hitler ha fatto in quattro anni. […] Tutti gli ebrei italiani sono stati esclusi dall’insegnamento e dagli impieghi pubblici. Gli alunni ebrei italiani, nati in Italia da cittadini italiani, sono esclusi da tutte le scuole pubbliche e pareggiate. […] E non se preoccupa nemmeno il re, il quale ha dimenticato che lui e la sua famiglia riscuotono decine di milioni all’anno dal popolo italiano affamato, per il titolo di ‘guardiano della Costituzione italiana’. Ora, secondo la detta Costituzione, i cittadini italiani – compresi quelli ebraici – ‘sono uguali davanti alla legge’, per cui nessun governo ha il diritto di farne una categoria di cittadini inferiori, privati d’ogni diritto e d’ogni possibilità di vivere.”
E l’analisi di Di Vittorio si fa, infine, implacabile: “Che nessuno s’inganni! La lotta contro gli ebrei non è che un aspetto della lotta dei grandi trust e della loro dittatura fascista contro l’intero popolo italiano. Col parossismo razzista scatenato contro gli ebrei, il governo fascista mira a far passare gli ebrei come responsabili della miseria spaventosa in cui il regime ha gettato il nostro popolo, specialmente per le sue guerre d’aggressione contro l’Abissinia e la Spagna; il governo fascista mira a creare una ideologia e una mentalità imperialista nelle masse popolari, per farne uno strumento docile della sua politica di guerra, della guerra generale nella quale i grandi criminali dell’asse fascista stanno forse lanciando l’Europa, nel momento stesso in cui scriviamo”.
Di Vittorio scriverà, in breve tempo, altri articoli sulla materia. Nella sua lucida visione, le persecuzioni contro le minoranze sono identificate come un’autentico pilastro della natura della tirannia. Altro che un errore o un incidente.
In questo tempo, vediamo l’odio razziale riprendere vigore come pilastro del nazionalismo o di ciò che oggi viene chiamato “sovranismo”. Ricordiamo in questo sessantunesimo anniversario della morte di Giuseppe Di Vittorio, la potenza della sua lezione e la sua capacità di non piegarsi mai al vento prevalente.