Rassegna Stampa

Questo articolo è stato pubblicato, per la prima volta, su Il Corriere dell’Umbria di oggi.
 
“Le nuove nozze Thyssen-Tata buttano fuori Ast”
 
di Cesare Damiano
 
Il futuro incerto dello stabilimento ternano
 
Ci siamo: ThyssenKrupp e Tata hanno annunciato la fusione delle loro attività europee. Nasce un gigante da 21 milioni di tonnellate, ribattezzato ThyssenKrupp Tata Steel. Dopo ArcelorMittal, oggi leader in europa con 60 milioni di tonnellate, si tratta del secondo player europeo nel mercato dell’acciaio piano. Con la guerra dei dazi in corso, il controllo del mercato UE dell’acciaio diventa sempre più strategico e, con le fusioni in corso, compresa l’acquisizione di ILVA da da parte di ArcelorMittal, questi due principali poli di aggregazione controlleranno il 50% del mercato continentale. Che ricadute avrà sull’Italia l’operazione Thyssen-Tata? Direttamente nessuna, perché la principale controllata in Italia di Thyssen è Acciai Speciali Terni, concentrata sull’inossidabile, quindi al di fuori del perimetro di business oggetto della fusione. Indirettamente, però, la nuova alleanza con Tata potrebbe accelerare il processo di cessione dello stabilimento umbro. Dopo un accordo di ristrutturazione con i sindacati, che ha individuato circa 300 esuberi, l’azienda sta attraversando una fase di assestamento e ha registrato un utile per due anni consecutivi. La casa madre, nonostante questo, non ha mai nascosto una volontà di cessione dell’attività. Da qui l’esigenza di tenere gli occhi ben aperti. Queste scelte industriali europee rafforzano la nostra convinzione circa l’esigenza di considerare l’acciaio come prodotto di “interesse strategico nazionale”. Il che comporta, di fronte a una eventuale proposta di cessione, un intervento del Governo di guida, sorveglianza e garanzia della continuità produttiva e dei livelli occupazionali. La questione assume, dunque, un rilievo strategico e non può essere affidata alle volubilità dei mercati e a scelte imprenditoriali estemporanee. Ormai sappiamo che ci sono due tipi di acquirenti: quelli che vogliono marchio, tecnologia e mercato, chiudono l’attività e delocalizzano, magari dopo aver preso anche gli incentivi. E quelli che, invece, investono sul core business aziendale con l’obiettivo di rendere compatibile produzione e ambiente, migliorare e innovare la qualità delle produzioni e tutelare la buona occupazione. Noi pretendiamo che si scelga la seconda strada. Il ministro Di Maio dovrebbe condividere il nostro punto di vista, vista la giusta battaglia che sta conducendo contro le delocalizzazioni. A questo problema, dunque, pensiamoci per tempo coinvolgendo Governo e parti sociali al fine di garantire, in una logica di concertazione, le migliori soluzioni per l’Europa, per l’Italia, per i cittadini e per i lavoratori di Terni.